L’Esercizio Critico

Pubblicato il 29 Ottobre 2012

L’Esercizio Critico

L'arte non deve mai tentare di farsi popolare. Il pubblico deve cercare di diventare artistico”. Questo pensiero di Oscar Wilde è utile per stimolare innumerevoli riflessioni delle quali la più lampante, è probabilmente quella sulla controversa condizione dell’artista. Da sempre, infatti, chi è posseduto realmente dall’arte lo è in modo totalitario, patologico, sessuale. L’artista come il folle, non ha controllo, è l’arte che prende in mano la sua vita, appagando il desiderio di effondersi, di liberarsi, di compiacersi nell’apparire agli altri in tutta la sua verità. Questo bisogno esistenziale, mette l’artista nella condizione di essere disarmato di fronte a chi viene inondato, consapevolmente o accidentalmente, da questa emorragia inarrestabile. Nudo e vulnerabile il pittore, il poeta, l’autore, viene spesso colpito ferocemente e a volte esaltato ma non è certamente il bilancio di questa retroazione che lo motiva o lo disamora, semplicemente perché lui non ha il controllo.

Naturalmente questo discorso ci riporta al pensiero di Wilde che, dando per assodata l’impossibilità di dominare il genio artistico da parte del suo tramite, pone l’attenzione sul pubblico, su di noi. E’ talmente ampio e articolato il discorso sull’approccio verso l’opera artistica che sarebbe impossibile dare un’idea univoca su come affrontare questo incontro con l’essenza dell’autore ma forse, nell’intraprendere il tentativo di interazione, ci dovrebbe essere alla base una predisposizione alquanto semplice. Probabilmente dovremmo porci ad armi pari di fronte all’esplicito. Senza mai perdere la nostra identità, dovremmo spogliarci delle nostre credenze, dei nostri pregiudizi e soprattutto, liberarci dall’insidiosa comodità di banali valutazioni. E’ tanto semplice quanto screditante per la nostra intelligenza giudicare un’opera basandosi su valutazioni legate unicamente alla nostra visione del mondo ma soprattutto mette in evidenza la nostra incapacità di comprensione dell’esecuzione artistica.

Oggi, soprattutto grazie all’ampliamento delle possibilità di comunicazione, abbiamo tutti la facoltà di esprimere la nostra opinione e fare in modo che questa raggiunga un elevato numero di persone. Ma questa opportunità è un’arma a doppio taglio. Spesso cercando di essere originali si cade bruscamente nell’omologazione (e non è una novità).

Un esempio calzante è l’atteggiamento che negli ultimi tempi sta prendendo piede (anche nel pensiero politico), che auspica l’eclissarsi di “vecchi” potenti in declino in favore di giovani volenterosi. Pensiero interessante e in alcuni casi ineccepibile ma che come tutti i concetti, quando viene generalizzato, diventa a dir poco ridicolo.

E’ superfluo dire che ogni situazione ha bisogno di una sua valutazione. Si pensi se all’eclettico Picasso avessero detto, quando a 56 anni realizzo Guernica, che ormai aveva fatto il suo tempo e, senza andare così lontano, pensiamo al nostro Renato Guttuso che alla “veneranda” età di 61 anni dipinse I Funerali di Togliatti, opera che divenne manifesto della pittura antifascista. Di esempi ce ne sarebbero innumerevoli, non solo nella pittura ma anche nella letteratura, nel teatro e nel cinema (Woody Allen ha compiuto 77 anni e le sue opere non hanno per nulla perso di brillantezza).

E’ quindi fondamentale prestare molta attenzione nel giudicare, tenendo ben presente che l’azione critica è un opera essa stessa e come tale può essere valutata.

Nonostante sia giovane e volenteroso, per completare il mio pensiero, ritengo più appropriate le parole che l’anziano antropologo Paolo Mantegazza scrisse all’età di 62 anni nel suo Elogio della Vecchiaia: “Se dovessi quindi riassumere la fisionomia caratteristica del pensiero nell’ultima età della vita, direi che il vecchio ha un cervello potentemente stereoscopico, mentre il giovane ha un cervello creatore. In questo l’agilità e la fecondità, in quello la sicurezza e la tenacità. Nessuno primo, nessuno secondo; entrambi organi diversi, che adempiono funzioni distinte in quel grande organismo, che è una società umana. Quando i progressi dell’igiene faranno campare per ottant’anni almeno tutti i nati sotto il sole; l’umana famiglia sarà più felice, più ordinata, più morale, più intellettuale; per molte ragioni, ma per questa principalissima, che con una popolazione equale avrà un numero molto maggiore di vecchi”.

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